Inizia il viaggio

«Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito».

Su una piccola striscia di terreno che da Occidente ad Oriente collega il Nord ed il Sud America, servendo da tampone tra due imponenti oceani, queste parole, prese in prestito dalla penna creativa dell'eroe della letteratura latino-americana, Gabriel Garcìa Marquez, esprimono pienamente lo stupore euforico provato dagli uomini che sono stati chiamati a ripetere tutta l'impresa, quasi 100 anni dopo i primi scavi effettuati dalle picozze e dai badili dei primi pionieri, che avevano costruito in Canale di Panama nel 1914.

Agosto del 2009. Pioggia. Davanti agli occhi dei nuovi visitatori la Natura mostrava se stessa senza veli: selvaggia e vergine. Coccodrilli, serpenti, capybara, bradipi e scimmie urlatrici che fungono da messaggeri per tutti gli animali della foresta.

Esperti catalogatori impiegati per osservare e proteggere gli "abitanti" di questo eco-sistema durante i lunghi periodi di osservazione e di studio hanno contato ben 400-500 specie differenti. Lo scopo primario delle costruzione del sito che sarebbe sorto nei mesi a venire era di proteggere l'ambiente, partendo dalla flora e dalla fauna presenti nel luogo. Per fare questo si è dovuto provvedere al posizionamento di registratori video e di telecamere con sensori sofiscati capaci di registrare la vita della foresta nelle notti silenziose: il modo migliore per osservare la natura selvaggia, per capire quante specie popolano l'area di lavoro e di valutare anche come poterli proteggere e rimuovere in sicurezza dal luogo senza compromettere l'ecosistema. Giunti al momento di sgombero dell'area, è stato richiesto il supporto di team specializzati per trasferire in sicurezza all'interno di parchi nazionali gli "abitanti" della foresta.

In un luogo come Panama, in cui vivono 1.020 specie di pappagalli, la biodiversità è una vera istituzione - come los diablos rojos, i bus colorati che per decenni hanno viaggiato a velocità impressionanti lungo le strade della città, anche durante le dittature e i periodi di carestia, con eserciti conquistatori e durante i boom economici.

Il rispetto per le biodiversità è uno degli obiettivi primari degli uomini e delle donne chiamati a ripetere questa impresa, attraversando le stesse strade calpestate dai lavoratori ben 100 anni prima, per realizzare la visione di un Nuovo Canale di Panama, uno dei progetti ingegneristici più ambiziosi al mondo per dimensioni, innovazione, impatto sull'economia panamense ed in termini di commercio globale.

L'Ingegnere Antonio Betti, il Project Manager per l'Area Pacifico di Salini Impregilo, è tra questi. Giunto a Panama City agli inizi del 2009 con altri tre compagni, fu presente durante la firma del contratto che ha permesso a Grupo Unidos por el Canal (GUPC) di allargare l'istmo per permettere il passaggio di navi tipo Post-Panamax, i giganti dei mari che raggiungono i 366 metri in lunghezza e capaci di trasportare ben 14.000 container. GUPC è un consorzio di società che include l'italiana Salini Impregilo, la spagnola Sacyr Vallehermoso, la belga Jan de Nul e la panamense CUSA.

«L'11 Agosto visitammo la sponda atlantica per la prima volta» ricorda Betti.

«Il silenzio era incredibile. Offriva sensazioni uniche. Eravamo immersi in una natura incontaminata. Per i primi mesi abbiamo solo esplorato il territorio».

«Eravamo immersi in una natura incontaminata. Per i primi mesi abbiamo solo esplorato il territorio».

Per natura incontaminata si intendono 370 ettari di terreno inaccessibile, attraversato "a zig zag" da fiumi, in presenza di paludi. Una foresta talmente densa da nascondere ogni traccia del passato.

«Esplorando la foresta trovammo dell'attrezzatura per la frantumazione della roccia che venne lasciata dagli americani nel 1939», ci dice il project manager. «Nascosto sotto il fogliame, a prima vista, pensavamo di esserci imbattuti in un tempio dei Maya».

«Nascosto sotto il fogliame, a prima vista, pensavamo di esserci imbattuti in un tempio dei Maya».

In verità, gli Stati Uniti abbandonarono il relitto industriale prima che ogni potenziale risorsa potesse essere utilizzata nella Seconda Guerra Mondiale.

Nel tempo, la foresta, il Lago Gatùn ed il Canale hanno saputo preservare ciò che fu preso loro dall'iniziativa dell'uomo.

Dalle mura che risalgono alla dominazione spagnola del 18 secolo e che vennero scoperte durante l'esplorazione della costa del lato Pacifico, seguono i segreti nascosti nelle profondità del Gatùn, il bacino artificiale più grande al mondo, quando venne creato dai pionieri che costruirono il primo canale. Gli strumenti ed i convogli utilizzati per trasportare i lavoratori da un oceano all'altro vennero trovati, protetti com'erano, dalle acque verdi del lago.

Questo è ciò che rimase dell'epico sforzo condotto dagli ingegneri dell’esercito degli Stati Uniti il 3 Agosto 1914. L'idea iniziale ed i primi tentativi di aprire un passaggio attraverso le Americhe vide la luce nel 1881, grazie all'imprenditore visionario, il "Mosé francese", Ferdinand de Lesseps, che si convinse che sarebbe stato possibile aprire la terra in due così da creare un’”autostrada marittima”, proprio come fece già con il Canale di Suez.

Da quando la prima nave solcò queste acque, la storia dell'istmo di Panama ha percorso un cammino parallelo a quello effettuato dall'Autoridad del Canal de Panama (ACP), che per più di 100 anni ha gestito il Canale, prima sotto gli Stati Uniti, poi dal 1999, sotto il controllo del governo nazionale.

Ilya Marotta, ACP Executive Vice President di Engineering and Program Management, è tra i testimoni ad aver lasciato le impronte dei propri stivali in tutto il cantiere.

«Guarda questo progetto, ormai completato» afferma l'Ingegnere, che ha saputo scalare i posti di comando dell’Autoridad, «Sembra un sogno. Iniziai a lavorare al progetto di espansione nel 2002. Giorno dopo giorno, ho potuto vedere questa grande visione trasformarsi sempre più in realtà».

Dalla Storia alla visione; dalla visione al progetto; dal progetto al cantiere.

«L’impresa era talmente complessa afferma Antonio Betti, «che abbiamo speso ben due anni a studiarla in ogni dettaglio prima di effettuare il nostro ingresso nella gara di offerta internazionale. L’inizio dei lavori ha rappresentato un momento chiave, che ci ha permesso di famigliarizzare con il Paese, il territorio e la gente».

L’ingegnere, continuando, afferma poi: «Durante la fase di creazione del cantiere abbiamo effettuato un test di verifica sulla nostra capacità di produrre cemento. Dovevamo produrre 5 milioni di metri cubi di cemento all’interno del cantiere. Nulla di così grande fu mai richiesto prima nella storia di uno stato di dimensioni talmente ridotte, come Panama. Fu allora che ci accorgemmo che molte specifiche, come quella di dover trovare personale altamente qualificato e che fosse quasi tutto panamense, avrebbero dovuto essere realizzate da zero, dall'inizio. Questo era il nostro lavoro. Nessuno di noi, nemmeno nei momenti più difficili, pensò mai di non potercela fare».

«Nulla di così grande fu mai richiesto prima nella storia di uno stato di dimensioni talmente ridotte, come Panama».

Ben 81 km a dividere i due oceani, ad indicare più di ogni altro confine la divisione Nord-Sud. Da un lato, L'America Centrale ed il Messico, attaccato agli Stati Uniti; dall'altro lato l'America del Sud, dalla Colombia - che confina con Panama - all'estremo sud di Cape Horn e quel passaggio naturale tra il Cile e l'Argentina, lo Stretto di Magellano, scoperto nel 1520 dall'esploratore Ferdinando Magellano, conosciuto prima come Estrecho de Todos los Santos.

Il Canale di Panama è l'alternativa all'ingenuità dell'uomo di percorrere 26.000 chilometri sui mari circumnavigando il continente americano. È un’ autostrada marittima, creata tra "la città di grattacieli", Panama City, e Colón, la regione in cui le acque del mare del Canale si aprono al Mare dei Caraibi, con i suoi temporali ed uragani, i propri colori brillanti ed gli intensi profumi.

L'espansione del Canale, 100 anni dopo la prima inaugurazione, significa non solo aprire gli oceani al passaggio di navi giganti che rappresentano il motore del commercio mondiale, ma anche un mezzo per rispondere all'istinto umano di esplorare i propri limiti e di superarli, alimentando il desiderio di conoscenza che, più di 500 anni prima diede coraggio e forza a coloro che furono pronti a scoprire il Nuovo Mondo.

È un viaggio nella storia dell'umanità, che non è mai concluso e che oggi riparte nelle acque del Canale, tra le violente correnti che attraversano il fondale di Corte Culebra (la parte più stretta dell'istmo) e le onde insidiose portate in giù dal Rìo Chagres, tra le forti piogge dell'inverno caraibico e l'umidità delle estati violente.

Un viaggio nel tempo e nello spazio. Non alla ricerca di un obiettivo, ma di un modo per raggiungerlo.

«È un viaggio nella storia dell'umanità, che non si è mai concluso e che oggi riparte nelle acque del Canale...»