Arturo Toscanini: il titano italiano - Antonio Pappano

Arturo Toscanini: il titano italiano - Antonio Pappano

Ogni direttore d’orchestra – anche chi, come me, è nato in Gran Bretagna e cresciuto negli Stati Uniti – deve prima o poi confrontarsi con il fantasma di Arturo Toscanini. Solo a pronunciarne il nome si materializzano davanti a noi la definizione stessa di autorità direttoriale e la storia del teatro lirico italiano. È innegabile: la natura di Toscanini era tipicamente latina e melodrammatica, anche se per tutta la vita cercò – in modo quasi ossessivo – di far andare d’accordo l’indole mediterranea con una cura maniacale dell’esecuzione musicale, che era di una precisione chirurgica. Provava e riprovava, forgiando l’esecuzione a un punto tale che i suoi musicisti venivano letteralmente scolpiti nella forma che lui aveva in mente. La sua esattezza si accompagnava a un immenso senso della drammaturgia e della storia. Quando pensiamo che quest’uomo diresse le prime mondiali dei Pagliacci, della Bohème, della Fanciulla del West e di Turandot, restiamo ammutoliti.

Noi conosciamo Toscanini grazie soprattutto alle registrazioni con la NBC (National Broadcasting Casting), che avvenivano nell’asettico Studio 8H. Quel che sentiamo è una direzione d’orchestra essenziale, per nulla ridondante, distillata al massimo – il risultato è da pelle d’oca, ma non c’è molta allure tonale. Al suo approccio alla musica, caldo e traboccante di pathos, era certo più congeniale un ambiente più caldo. Quando riascoltiamo le registrazioni con la Philadelphia Orchestra, la NewYork Philharmonic Orchestra o la BBC Symphony Orchestra – oppure quelle di Salisburgo con i Wiener Philharmoniker – avvertiamo tutt’altro modo di dirigere: colore, allure, respiro. Dovendo scegliere fra le sue tante doti, direi che la pulizia dell’articolazione, il fraseggio, lo stile e l’energia, la chiarezza e l’equilibrio strutturale fanno di Toscanini un punto di riferimento per gli interpreti contemporanei. Toscanini studiava ogni partitura, prima di dirigerla, come uno scienziato al microscopio. La sua fedeltà alla partitura era proverbiale. Era di un’eleganza assoluta, anche nel modo di vestire – aveva un gusto impareggiabile. Irruppe sulla scena in un momento in cui le orchestre avevano sviluppato una serie di pessime abitudini, il ricorso al portamento aveva raggiunto punte di ridicolo, e la «tradizione» era ricettacolo di sciatterie ed effettacci. Toscanini svolse un ruolo fondamentale nel semplificare il linguaggio dell’esecuzione, nel ricondurre l’attenzione a ciò che era scritto sulla partitura, nell’incoraggiare gli interpreti a diventare i piu ardenti e devoti discepoli del compositore. La musica era per lui una questione religiosa. Inoltre, ridefinì la nozione di ritmo, imprimendogli un’incredibile energia: in quasi tutto il suo repertorio esso diviene reale, meravigliosamente palpabile.

Come possiamo, noi direttori d’orchestra, avvicinarci a Toscanini? Confrontarsi con lui e con il suo stile di direzione è un’impresa ardua. Ogni direttore cerca il suo stile personale, vuole differenziarsi dagli altri, percorrere strade che lo portino a definire una cifra interpretativa propria; ma fare i conti con il nitore, la chiarezza e la resa interpretativa di Toscanini… be’, è come essere sfidati a duello. Il suo modo di fare musica resta ancora oggi un punto di riferimento assoluto. Se hai delle idee, devono arrivare dritte al pubblico; lavorale finché gli ascoltatori non le afferreranno chiaramente. Punto di partenza per le idee sarà la partitura. La fedeltà alla partitura viene prima di tutto il resto. È molto istruttivo ascoltare le sue ultime registrazioni: quando ovunque nel mondo tutti rallentavano, lui aveva cominciato ad accelerare. La prima qualità che si suole riconoscere a un direttore d’orchestra italiano è il lirismo, ma in Toscanini troviamo molto di più. Il suo modo di suonare fa pensare a qualcosa di dinamico, un movimento propulsivo che si slancia in avanti. La musica fatta di periodi molto lunghi è eseguita con uno stile energico; la direzione delle frasi è sempre molto fluida. Quel senso di fluidità può solo trarre giovamento da un temperamento latino, intriso della naturale fluidità delle lingue romanze e del loro legame indissolubile con la musica e i musicisti «nostrani». Io sono di origini italiane, la mia missione è ottenere il calore di un suono generoso, mantenendo l’energia e la vitalità del ritmo. Toscanini ci ha indicato come farlo.

L’ottuagenario Arturo Toscanini – siamo nel 1950 – si descriveva così a un giovane collega: «Dicono che sono sempre rimasto me stesso. È la cosa più stupida che io abbia mai sentito raccontare su di me. Non sono mai stato uguale a me stesso, nemmeno da un giorno a quello dopo. La gente forse non lo sapeva, ma io sì». Un’affermazione che potrebbe essere la premessa ideale per una riflessione sul ruolo fondamentale di Toscanini nella storia dell’interpretazione musicale. L’esistenza di Toscanini fu decisamente fuori dal comune: quando nacque, a Parma, nella provincia italiana, Rossini e Berlioz erano ancora vivi, Verdi aveva appena terminato il Don Carlos , Wagner stava lavorando ai Meistersinger e Brahms stava componendo il suo Deutsches Requiem , mentre Elgar, Puccini, Mahler, Debussy, Richard Strauss e Sibelius avevano fra i due e i dieci anni. Visse abbastanza a lungo da vedere tutti questi compositori diventare dei «classici», ma non solo: ebbe l’opportunità di dirigere il lavoro di alcuni di loro in televisione, e di inciderne la musica su disco.

Arturo Toscanini fu una figura complessa, ricca di sfaccettature. Ci auguriamo che gli eventi legati all’anniversario della sua nascita sappiano sollecitare giovani musicisti e amanti della musica a studiare più a fondo la sua personalità, il suo immenso ruolo nella storia della musica e il suo inestimabile lascito artistico, consegnato all’eternità nelle sue registrazioni.